ECOSPIRITUALITÀ E ALIMENTAZIONE

“Il vegetarismo non è soltanto una lotta contro la barbarie,
ma il primo gradino di un progresso spirituale."

Lev Tolstoj (1828-1910)


Gli allevamenti intensivi distruggono il pianeta

È ormai assodato che gli allevamenti intensivi sono tra le maggiori cause di inquinamento ambientale.
Enormi pozze formate da rifiuti, sangue degli animali uccisi ed escrementi diffondono pericolosi fumi di idrogeno solforato e contaminano le acque sotterranee con nitrati e antibiotici.
Gli allevamenti intensivi e la coltivazione dei cereali per la loro alimentazione costituiscono il problema più grave per il nostro ambiente e producono più emissioni gassose nocive di tutto il settore dei trasporti (auto, aerei, treni e navi). Inoltre la quantità di escrementi riversati nei fiumi e nei mari è la prima causa di inquinamento delle acque.
La zootecnia globale ha un ruolo centrale nell’uso di risorse idriche, inquinamento delle acque, deforestazione ed emissioni di gas serra. Non solo: anche il consumo dei pesci e in genere degli animali marini condiziona notevolmente l’equilibrio ambientale, ed è ritenuto responsabile di diversi problemi di natura ambientale. Questa situazione ha destato l’interesse della comunità scientifica sull’incidenza del consumo di cibi animali sull’ambiente, e molti ricercatori hanno individuato la riduzione del consumo di carne come un provvedimento inevitabile per fronteggiare i danni ambientali causati dagli allevamenti intensivi.
Studi condotti dalla FAO (Food and Agriculture Organization) hanno consentito di stabilire che oltre il 51% dei gas serra, denominati Green House Gases (GHG), soprattutto metano, anidride carbonica e protossido d’azoto, sono emessi dagli allevamenti, contro il 14% determinato da attività di trasporto via terra, acqua e mare.
La quantità di acqua sprecata per la coltivazione del cibo per gli animali da allevamento e il loro sostentamento ha dei numeri impressionanti: ci vogliono circa 3.000 litri di acqua per ottenere un hamburger di 250 grammi, corrispondente al quantitativo d’acqua impiegata da una persona per farsi la doccia per 2 mesi.
Secondo uno studio dell’UNESCO, Institute for Water Education, la dieta vegetariana può ridurre l’impronta idrica del 58%.
Alcune percentuali: il 33% dell’acqua dolce del pianeta è usato dagli allevamenti intensivi e il 45% della superficie del pianeta Terra è usato dagli allevamenti di bestiame.
L’allevamento intensivo è la causa della deforestazione del 91% della foresta Amazzonica.
Oltre al consumo delle risorse, l’inquinamento idrico, la deforestazione, dobbiamo aggiungere la violazione dei diritti umani per quelle popolazioni autoctone che vivono nei territori sfruttati dagli allevatori e dagli agricoltori.
Bastano questi pochi dati inconfutabili per rendersi conto che il sistema adottato dalla società maggioritaria per il sostentamento degli umani è fallimentare perché porterà inevitabilmente alla distruzione del pianeta. È stato calcolato che non mangiar carne per un solo giorno equivale a risparmiare la stessa CO2 che elimineremmo togliendo dalle strade 5 milioni di autovetture per un giorno.
Chi mangia la carne e i suoi derivati provenienti dalla grande distribuzione deve rendersi consapevole di sostenere il massacro del pianeta.


L’alimentazione carnivora pericolosa per la salute dell’uomo

Gli animali negli allevamenti mangiano mangimi OGM mescolati agli scarti dei loro simili uccisi, pieni di ormoni e medicinali. Non hanno mai visto l’erba e sono in un continuo stato di stress. Tutto questo si trasmette nella carne che arriva nei piatti delle persone, ed è stato dimostrato dai ricercatori che le carni ricavate da animali che vivono in condizioni di stress provocano in chi le consuma una serie di problemi quali disturbi mentali, infertilità, danni agli organi e perdita di lucidità.
Ma il dato più significativo sui danni della carne ci è fornito dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), l’Agenzia delle Nazioni Unite specializzata per le questioni sanitarie considerata il massimo organismo mondiale per la tutela della salute dell’umanità.
L’OMS, attraverso la sua Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), nell’ottobre 2015 ha emesso un comunicato in cui è stato decretato che la carne è cancerogena. Carne rossa, insaccati e tutti gli altri tipi di carne lavorata.
L’annuncio è la conseguenza dell’incontro che 22 scienziati provenienti da dieci paesi hanno avuto con gli esperti dello IARC di Lione, in Francia. Un confronto volto appunto a valutare la cancerogenicità del consumo di carne rossa e delle carni lavorate. Il gruppo di lavoro IARC ha fatto un notevole passo avanti perché, di fatto, prima di arrivare a diffondere questi risultati, ha considerato più di 800 studi che hanno indagato le associazioni di oltre una dozzina di tipi di cancro con il consumo di carne rossa o carne lavorata in molti paesi e popolazioni con diete diverse. La più forte correlazione tra carne e tumore rimane quella del rischio cancro colon rettale, ma lo IARC sottolinea che ci sono prove di legami anche con il cancro al pancreas e quello alla prostata. Secondo recenti stime del Global Burden of Disease Project, infatti, circa 34mila morti per cancro ogni anno nel mondo sarebbero da attribuire a diete ricche di carni lavorate. L’analisi dei dati di 10 studi analizzati stima che per ogni porzione di 50 g. di carni lavorate al giorno il rischio di ammalarsi di cancro del colon-retto aumenta di circa il 18%.


E il pesce?

Per sfuggire al pericolo di contrarre il cancro che comporta il mangiar carne, molti pensano di risolvere il problema rivolgendosi al pesce. Ma i danni alla salute ci sono ugualmente, il pericolo di ammalarsi di cancro sussiste ed è più di uno studio a dimostrarlo.
Il pesce contiene le stesse tossine delle carni e può causare, oltre ai danni della carne, parassitosi (es. tenia, ascaridi), asma, eczema, prurito, allergie, malattie renali, danni al sistema nervoso, ecc.
Le immense quantità di mercurio che le industrie scaricano nel mare (circa 10.000 tonnellate all’anno) passano facilmente dal pesce nell’organismo umano.
Il pesce è carne putrescente e grassa ai massimi livelli, al pari e di più di ogni altra carne: è materiale ultra-tossico, stimolante e non nutriente per il corpo umano. Il grasso cotto del pesce forma creatina, sostanza micidiale per il fegato. Nel pesce ci sono velenose concentrazioni di cloruro di sodio (che con la cottura diventano massa inorganica causante tumori gastrici, ritenzione idrica, gravi idropisie), diossine, ritardanti, alte concentrazioni di minerali micidiali come mercurio e cadmio.
È utile ricordare la strage di Minamata (Giappone), dove nel 1956 gli sversamenti di acque reflue contaminate al mercurio dell’industria chimica Chisso Corporation hanno prodotto uno dei peggiori disastri ambientali che la storia ricordi, nella quale morirono 77 persone ed altre 360 rimasero invalide per aver mangiato pesce ricco di mercurio. Ma oltre al mercurio deve preoccupare la presenza, nelle cozze, nelle ostriche e nei crostacei, del cadmio e del piombo. Spesso le cozze sono causa di epatite A.
Il pesce può anche trasmettere all’uomo la salmonella, larve di tenia e di ascaridi. In passato l’uso eccessivo di pesce in alcune regioni del Terzo Mondo ha favorito l’insorgere della lebbra. Alcuni molluschi possono trasmettere l’epatite virale ed altre malattie infettive.
Inoltre anche nel pesce, come in tutti gli animali uccisi violentemente dall’uomo e poi mangiati, vi è il terrore, l’angoscia, la paura dell’animale accumulata durante la sua cattura e la sua uccisione: più è lunga e dolorosa la morte di un animale, più si scateneranno tossine dannose per l’uomo.


I danni dei derivati animali

La produzione di carne e quella di latte sono strettamente collegate: l’una può essere considerata il sottoprodotto dell’altra. Gli effetti sulla salute di un aumentato consumo di latte e latticini sono simili a quelli provocati da un aumento del consumo di altri prodotti animali, come la carne e lo strutto. Oggi sono ormai disponibili evidenze scientifiche del fatto che i latticini non portano alcun beneficio che non sia ottenibile in modo migliore da altre fonti, e che il loro consumo pone seri rischi che contribuiscono alla mortalità.
Il profilo nutrizionale del latte è simile a quello della carne. Entrambi i cibi contengono un quantitativo simile di proteine e grassi saturi. Come la carne, il latte è completamente privo di fibra e delle centinaia di sostanze fitochimiche contenute nei cibi vegetali, che si sono rivelate fattori di protezione contro le malattie degenerative come le patologie coronariche e il cancro.
Si crede comunemente che il contenuto di calcio del latte di mucca lo renda un cibo essenziale per prevenire il problema delle ossa fragili, specie nei bambini. Il problema è che, anche se il latte può essere un modo efficiente per incamerare calcio dal cibo, ha anche molti svantaggi, in particolare un contenuto di grassi saturi molto alto. Secondo il prof. Walter Willett, medico nutrizionista americano, “bere tre bicchieri di latte al giorno equivale a mangiare dodici fette di pancetta oppure un big Mac e una porzione di patatine fritte”. Inoltre, la possibilità di mantenere le ossa forti dipende, più che dall’aumentare l’introito di calcio, dal prevenirne le perdite.
La perdita di calcio è un processo normale, che avviene attraverso la circolazione sanguigna, l’urina, il sudore e le feci: il calcio perso deve poi essere rimpiazzato con nuovo calcio preso dal cibo o dalle ossa.
Uno dei più importanti fattori nella perdita di calcio è costituito dalle diete ad alto contenuto proteico, che fanno sì che una maggior quantità di calcio venga persa attraverso le urine.
Naturalmente, le diete ricche di carne e latticini superano di molto i livelli di proteine raccomandati. Inoltre, le proteine derivanti da cibi animali probabilmente causano una perdita di calcio maggiore rispetto a quelle vegetali, e latte e latticini sono molto ricchi di proteine animali, quindi, anche se sono ricchi di calcio, il bilancio finale è spesso negativo, il che causa una perdita di calcio nelle ossa per compensare il calcio perduto.
L’alta incidenza di osteoporosi nei Paesi in cui il consumo di latticini è alto è un’ulteriore indicazione della sua inefficacia nel contrastare il problema della ossa fragili. Il recente report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della FAO sulle evidenze raccolte sul problema osteoporosi, indica che per la maggior parte delle persone sembra non esserci alcuna correlazione tra un aumento dell’introito di calcio e una diminuzione del rischio di fratture ossee. Le raccomandazioni OMS/FAO per l’osteoporosi indicano di mangiare più frutta e verdura piuttosto che affidarsi ai latticini.


Il problema etico

A tutto ciò si aggiunge il problema etico. Ogni anno 170 miliardi di animali vengono uccisi a scopo alimentare. Mezzo miliardo di animali ogni giorno, oltre 5.390 animali al secondo. Nel periodo di tempo che avete impiegato per leggere queste parole, ne sono già stati ammazzati decine di migliaia. Sono cifre impressionanti che danno l’idea dell’aberrazione in cui versa la società costruita dall’uomo.
Fabbriche incessanti producono milioni e milioni di schiavi di altre specie con il solo scopo di usarli come cibo a beneficio degli umani, strutture di sterminio massificate in cui altri esseri senzienti sono sottoposti a sofferenze inaudite per soddisfare gli animali umani. Un sistema di crudeltà che sottopone gli animali a una vita da incubo.
Gli animali vengono trattati come cose: affinché l’attività di allevamenti, mangimifici, impianti di macellazione e catene di distribuzione risulti economicamente compatibile con i livelli produttivi richiesti dal mercato, è necessario che il prezzo di carne, latte e uova rimanga accessibile per il maggior numero possibile di consumatori.
Ormai il 99% degli allevamenti sono intensivi: gli animali vengono allevati in spazi ristrettissimi, senza mai la possibilità di uscire alla luce del sole. Ogni tanto si vedono delle vacche al pascolo, ma sono solo una esigua minoranza che viene trattata meno peggio. Neppure loro comunque sfuggono al macello, dove vengono ammazzati senza pietà. Esseri senzienti considerati solo “capi”da abbattere. I macelli sono sempre nascosti alla vista del pubblico, in quanto gli allevatori cercano di far dimenticare all’utente come è stata prodotta la bistecca che si trova nel piatto.
Gli allevamenti intensivi sono una fabbrica incessante di infinita sofferenza per gli animali. Miliardi di animali destinati al macello sono costretti a vivere incatenati o chiusi in gabbie sovraffollate, incompatibili con le loro esigenze fisiologiche, privati della minima libertà di movimento, impediti nella pratica di istinti affettivi e sessuali, mutilati, sottoposti a costanti terapie antibiotiche ed ormonali (sia per prevenire l’esplosione di epidemie che per velocizzare la loro crescita), ad un’illuminazione ininterrotta che impedisce loro di dormire, nutriti con alimenti inadeguati, chimici e innaturali (fino ai casi delle mucche costrette al cannibalismo), obbligati a respirare un’aria satura di anidride carbonica, idrogeno solforato, vapori ammoniacali, polveri varie e povera d’ossigeno. Gli animali sottoposti a questa condizione, oltre a manifestare gravi patologie organiche e psicologiche (galline che si uccidono beccandosi fra loro, cannibalismo della madre verso i piccoli fra i conigli, suini che si divorano la coda), subiscono menomazioni e manipolazioni genetiche.
Le pecore, anche quando vivono all’aperto, sono tosate in maniera brutale in pieno inverno, costrette a sopportare i rigori del clima invernale senza la protezione naturale del loro mantello. Gli agnellini maschi sono uccisi a poche settimane di vita, specialmente in occasione delle festività pasquali. Inoltre, le pecore sono costrette a figliare continuamente, e non appena sono meno “produttive” vengono macellate.


Perché essere vegetariani non basta

Sono sempre più numerose le persone che scelgono la dieta vegetariana. La scelta può essere determinata da motivi di salute, da motivi di tutela dell’ambiente o da motivi etici.
Molte persone, prendendo coscienza della situazione di sofferenza in cui versano gli animali, decidono di diventare vegetariani. Ma sia che la scelta sia motivata da ragioni salutistiche o ambientali, sia da ragioni etiche, essere vegetariani non risolve il problema.
Abbiamo già ampiamente illustrato i danni dell’alimentazione animale e dei suoi derivati.
Per quanto riguarda il problema etico, mangiare carne o formaggio è la stessa cosa. Non si pensi che optare per i latticini in sostituzione della bistecca risolva minimamente o diminuisca la sofferenza animale.
Le mucche “da latte” sono selezionate geneticamente ed inseminate artificialmente per produrre quanto più latte possibile. Dall’età di circa due anni, trascorrono in gravidanza nove mesi ogni anno. Poco dopo la nascita, i vitelli sono strappati alle madri (provocando in entrambi un trauma), perché non ne bevano il latte, e rinchiusi in minuscoli box larghi poche decine di centimetri, in cui non hanno nemmeno lo spazio per coricarsi, e quindi neanche la possibilità di dormire profondamente.
Sono alimentati con una dieta inadeguata apposta per renderli anemici e far sì che la loro carne sia bianca e tenera (come piace ai consumatori) e infine sono mandati al macello. La mucca verrà quindi munta per mesi, durante i quali sarà costretta a produrre una quantità di latte pari a 10 volte l’ammontare di quello che sarebbe stato necessario, in natura, per nutrire il vitello. Non sorprende che ogni anno un terzo delle mucche sfruttate nei caseifici soffra di mastite (una dolorosa infiammazione delle mammelle).
Per aumentare la produzione di latte, la mucca è alimentata con proteine molto concentrate, ma neppure queste spesso sono sufficienti, tanto da provocare lacerazione dei tessuti per soddisfare la continua richiesta di latte. Questo provoca una condizione chiamata acidosi, che può rendere zoppo l’animale, e ciò accade ogni anno al 25% delle mucche sfruttate nei caseifici. A circa cinque o sei anni d’età, ormai esausta e sfruttata al massimo, la mucca verrà macellata. La durata della sua vita, in natura, sarebbe stata di circa 20 anni.
Alle galline non è destinata una sorte migliore. Per la produzione di uova, le galline sono costrette a vivere (fino a gruppi di quattro) in gabbie delle dimensioni di un foglio A3. Le loro ali si atrofizzano a causa dell’immobilità forzata; crescendo a contatto della griglia di ferro della pavimentazione, le loro zampe crescono deformi. Per aumentare il profitto, molti allevatori usano razze manipolate geneticamente, destinate a soffrire ulteriormente, a causa di dolorosi disturbi ossei e difetti della spina dorsale.
Negli allevamenti che producono galline ovaiole, i pulcini maschi (inutili al mercato in quanto non in grado di produrre uova, né adatti alla produzione di carne di pollo) sono gettati vivi in un tritacarne, o soffocati in buste di plastica, o schiacciati in apposite macchine per diventare mangime, mentre a quelli femmina viene tagliato il becco per impedire loro di beccare a morte le compagne. Questa procedura, che comporta il taglio di tessuti teneri simili alla carne che gli umani hanno sotto le unghie, è così dolorosa che molti pulcini muoiono per lo shock. Inoltre, questa operazione lascia spesso scoperti i terminali nervosi presenti nel becco, determinando così un dolore continuo per tutta la vita dell’animale.
Non appena la produttività delle galline diminuisce sotto il livello fissato, di solito dopo 2 anni, sono sgozzate per diventare carne di seconda scelta. I polli “da carne” non godono certo di un trattamento migliore: sono allevati in capannoni affollatissimi, fino a 10-15 polli per metro quadrato, sotto la luce sempre accesa, perché crescano in fretta. A 45 giorni vengono ammazzati, mentre in natura potrebbero vivere fino a 7 anni.
La stessa sorte tocca ai tacchini. Le oche sono ancora più sfortunate, perché vengono sottoposte al “gavage”: immobilizzate, vengono ingozzate con un imbuto fino a che il loro fegato si spappola, per produrre così il famoso “paté de foie gras”. Anche i fagiani sono allevati in batteria, per poi essere liberati e poter servire da bersaglio ai cacciatori o, nella migliore delle ipotesi, ai predatori che si trovano nelle riserve di caccia. Se non uccisi da cacciatori o predatori, muoiono ugualmente dopo pochi giorni perché non sanno procurarsi il cibo da soli.
Per quanto riguarda i pesci, spesso non sono nemmeno considerati “animali”, poiché occupano un gradino ancora più basso nella scala dei diritti degli animali.
Eppure i pesci provano dolore, molti di loro hanno sistemi nervosi complessi, alcuni, come il polpo, sono particolarmente intelligenti e capaci di compiere attività elaborate.
Oltre ai pesci pescati in mare, si va diffondendo sempre di più l’acquacoltura, cioè l’allevamento intensivo di pesci, in cui questi animali vengono tenuti in spazi ristrettissimi, dove soffrono per lo stress e l’infelicità. Anche le aragoste vengono allevate in batteria, tenute sul ghiaccio, nella maggior parte dei casi con le chele legate per poi finire bollite vive in pentola, nonostante la legge sul maltrattamento degli animali non lo consentirebbe.
A questo scenario degno di un girone dantesco si aggiunge la sofferenza determinata dai trasporti degli animali cosiddetti “da reddito”.
Accade molto frequentemente che gli animali non vengano macellati nel macello più prossimo all’allevamento, ma siano sottoposti a viaggi massacranti, a volte tanto lunghi da attraversare nazioni diverse. Gli animali sono stipati negli autocarri, senza alcuna possibilità di riposo, senza bere, senza mangiare, compresi i cuccioli. Molti di loro arrivano a destinazione in pessime condizioni, alcuni muoiono durate il viaggio. Nel camion, se un animale cade, spesso non riesce a rialzarsi, viene calpestato e subisce fratture alle zampe o al bacino. Questi animali, se possibile ancora più sfortunati degli altri, mentre tutti vengono spinti verso il mattatoio, rimangono sul veicolo in preda a dolori lancinanti, per poi essere agganciati agli arti fratturati e trascinati fuori. Non vengono sottoposti a eutanasia – gli allevatori non vogliono perdere soldi – ma aspettano il loro turno di macellazione.
Gli animali che muoiono lungo il viaggio vengono invece buttati in un mucchio, in quella che viene chiamata la “pila dei morti”. Il trasporto è particolarmente duro per i cavalli poiché, dato che in Italia non ne vengono “prodotti” abbastanza, i macellai si riforniscono nell’Est europeo, dove i cavalli sono ancora usati e, dopo una vita di lavoro, vengono a concludere la loro esistenza nei mattatoi e sulle tavole del nostro Paese. Per motivi di profitto, gli animali vengono stipati all’inverosimile, mescolando tra loro individui ammalati, debilitati e molto giovani.
I polli, essendo di poco valore, subiscono un trattamento ancora peggiore, perché se qualcuno muore durante il tragitto, la perdita è minima. Gli autocarri vengono caricati di notte, gli operai devono caricare 25.000 animali nel minor tempo possibile, e quindi gli animali vengono trattati rudemente, lanciati di mano in mano come fossero palloni fino a essere stipati nelle gabbie.
Gli animali arrivano al macello in gravi condizioni di stress, spesso così debilitati da non riuscire nemmeno ad alzarsi. A causa della rapidità delle linee di macellazione (talvolta fino a 400 capi l’ora ognuna) spesso non sono storditi in maniera corretta e sono quindi coscienti quando viene loro tagliata la gola, quando sono scuoiati, decapitati, squartati, o quando giungono nell’acqua bollente delle vasche di scottatura. Per i suini il momento del macello è particolarmente penoso, perché il numero delle uccisioni è altissimo, anche 1.000 animali in una mattinata. In queste situazioni lo stordimento molte volte non viene ben applicato, e quindi gli animali vengono sgozzati, e poi gettati nelle vasche di acqua bollente, ancora coscienti. L’unica morte davvero indolore renderebbe necessario narcotizzare l’animale, ma questo non è possibile, perché le sue carni devono poi essere mangiate.
Per quanto riguarda i pesci, la loro morte è ancora peggiore: muoiono asfissiati, in una
lenta agonia, muta, perché non siamo in grado di sentire i suoni che emettono. A volte arrivano nei banchi delle pescherie ancora vivi a terminare la loro agonia tra il ghiaccio. I crostacei e i molluschi finiscono bolliti vivi.
Per completare questo scenario dell’orrore occorre citare le nuove biotecnologie applicate agli animali d’allevamento. Per l’alimentazione umana vengono creati animali transgenici a cui è stato modificato il patrimonio genetico affinché producano di più, più carne, più latte, o si ammalino di meno. Per produrre di più si usa l’ormone somatotropo, ottenendo così un ingigantimento degli animali. Questo produce delle conseguenze in quanto l’inserzione di geni estranei nei cromosomi degli animali è del tutto casuale e sovente crea individui non vitali o con malformazioni che causano sofferenza. Inoltre il gene impiantato (transgene) può distruggere parte dei geni naturali dell’animale ospite, e dare di nuovo origine a esseri non vitali. Ad esempio, in un esperimento sono nati dei topi con gravi anomalie, quali la mancanza degli arti posteriori, spaccature nel muso, ed enormi difetti cerebrali. Non sempre si riesce a fissare la trasformazione voluta, e quindi occorre ripetere centinaia di volte la stessa manipolazione su altri animali, fino a sviluppare con successo la linea desiderata, causando così sofferenze e morte a un numero elevatissimo di animali.
Vi sono conseguenze anche sulla salute umana, in quanto l’introduzione di ormoni attraverso l’ingegneria genetica crea rischi analoghi a quelli derivanti dall’uso di ormoni in altre forme.


Ma allora come fare?

È stato calcolato che in media una persona carnivora mangia nell’arco della sua vita circa 7.000 animali. Da una ricerca americana, risulta che una persona che vive 80 anni mangia durante la sua esistenza 11 mucche, 27 maiali, 30 pecore, 80 tacchini, 2.400 polli e 4.500 pesci. Questo vuol dire che, abolendo il consumo di carne, ogni persona può salvare migliaia di animali, anche senza fare nessun tipo di attivismo in loro difesa.
Contrariamente a quanto ci può far credere il luogo comune, l’uomo non è nato carnivoro. Gli esseri umani sono molto spesso descritti come “onnivori”, ma non è così. L’uomo non è carnivoro. L’organismo dell’uomo, contrariamente a quello dei carnivori, non è fatto per mangiare cadaveri di animali perché ne rimane intossicato a causa delle sostanze tossiche contenute nella carne stessa. La neurofisiologia, l’embriologia, l’anatomia comparata confermano come l’uomo sia strutturato per cibarsi di frutti, germogli freschi, foglie tenere, tuberi, radici e non di muscoli, ossa ed interiora come i carnivori.
Tuttavia viviamo in una società basata sul profitto, e questo profitto, come abbiamo visto, è fondato in larga misura sullo sfruttamento degli animali. È logico pensare che la cultura non ci aiuti a cercare delle alternative alla dieta carnivora. Eppure la gente comincia a prendere sempre più coscienza dell’assurdità di un’alimentazione che crea danni alle persone, provoca il cancro o quanto meno tutta una serie di patologie psicofisiche, e soprattutto provoca una sofferenza indicibile che attraversa tutto il pianeta. I ristoranti veg si moltiplicano, le persone vegetariane sono in continuo aumento.
Ma dai dati che abbiamo fornito qui sopra si rende evidente che essere vegetariani non risolve il problema: occorre fare un altro salto di mentalità e diventare vegani. Ovvero adottare un’alimentazione che non preveda il consumo di carne e dei suoi derivati. È una scelta difficile solo se si cade nella disinformazione che fa credere che mangiare verdura, frutta, cereali sia complicato, non sia gustoso e non fornisca l’apporto necessario di vitamine e proteine. Niente di più falso. Una dieta vegana non solo è molto più sana, ma è anche più equilibrata della dieta onnivora.
Esistono miriadi di ricettari sull’argomento che insegnano piatti facili da realizzare in pochi minuti.
Quello che occorre è essenzialmente un salto di mentalità per non cadere nei falsi miti e nella disinformazione.

Dal libro “Tutti Figli di Madre Terra” di Rosalba Nattero e Giancarlo Barbadoro – Edizioni Triskel