"TORINO
tra musica, cinema e mistero"

al Garage, 16 marzo 2007

con la presentazione della rivista "Torino Magazine"
il trailer del film "SHAN" di Stefano Milla
e una performance del LabGraal






Giampiero Leo presenta l'incontro



Guido Barosio introduce alla Torino dei misteri



Rosalba Nattero presenta il trailer del film "Shan"



Il CD "Sacred Land" del LabGraal
allegato alla rivista "Torino Magazine"



Un momento della proiezione del film "SHAN"



Il momento musicale del LabGraal





All'insegna del GRAAL:
suoni, popoli e misteri

Rosalba Nattero e Giancarlo Barbadoro, fondatori del Laboratorio del Graal, rivendicano le tradizioni celtiche del Piemonte e tutelano l'identità dei popoli naturali con attività che spaziano dalla musica al cinema, dalla ricerca culturale a quella spirituale. Un percorso rigoroso e affascinante, ricco di significati e suggestioni

di GUIDO BAROSIO


Si starebbe ad ascoltarli per ore, i nostri amici del Laboratorio del Graal, innanzitutto per la loro ricca attività di ricerca culturale e spirituale, che va ben oltre l'ambito discografico, e poi per quella tenace difesa dei 'popoli naturali' concretizzata con la Ecospirituality Foundation, organizzazione non governativa in Stato Consultativo con le Nazioni Unite. Sul fronte musicale hanno prodotto cinque album (quattro di musica celtica, e il quinto dedicato agli aborigeni australiani), mentre la loro prossima fatica - 'Mother Africa' -esplorerà le sonorità di quel continente. Il gruppo è composto da cinque musicisti: Rosalba Nattero, Giancarlo Barbadoro, Luca Colarelli, Andrea Lesmo e Gianluca Roggero, oltre a guest star internazionali incontrate nei loro viaggi. Cuore di tutte le attività il Garage di Arte e Cultura 'Nel segno del Graal': un affascinante spazio sotterraneo in piazza Statuto 15, utilizzato per conferenze, spettacoli, esibizioni teatrali, dibattiti e proiezioni. Da Rosalba Nattero e Giancarlo Barbadoro, i leader del gruppo e della fondazione, ci siamo fatti raccontare il significato delle loro esperienze, scoprendo il fascino e il valore di un percorso che parte dal Graal per arrivare ai 'popoli naturali', una realtà più vicina alla nostra di quanto si possa immaginare…
Come nasce il Laboratorio del Graal?
"L'idea è mia - ci racconta Rosalba - ma è nata da un percorso che ha fatto incontrare me e Giancarlo sul simbolo del Graal. Quella ricerca si è estesa alle tradizioni celtiche ed è diventata musica allargandosi anche al resto del gruppo. Viaggiando per i nostri concerti abbiamo avuto modo di approfondire i temi che ci hanno sempre ispirato: la musica è un formidabile veicolo di comunicazione, aiuta ad entrare più facilmente in sintonia con gli altri . Il musicista è innanzitutto qualcuno che offre qualcosa di se, così l'apertura nei suoi confronti arriva spontaneamente".
Il 30 marzo debutta all'Empire il vostro film 'Shan'. Che cosa racconta?
"Ci sono tre percorsi che si intrecciano: il primo è musicale con molti concerti dal vivo, poi c'è un livello di fiction che lega la storia, ma l'elemento più significativo riguarda le nostre battaglie a favore dei 'popoli invisibili' che facciamo parlare liberamente. Stiamo anche prendendo accordi con l'Onu - che ha patrocinato la produzione con l'Alto Commissariato per i diritti umani - per la divulgazione del film a Ginevra e New York. Anche loro ci tengono molto perché documenta momenti privati e sacri delle popolazioni native. Sono immagini molto rare, che abbiamo avuto il privilegio di filmare grazie alla grande fiducia che ripongono in noi".
Il mondo dei popoli naturali, qual è la loro condizione?
"Sono due concetti differenti - spiega Giancarlo - Molte popolazioni native non hanno quasi più nulla di 'naturale'. I nativi possono essere cristiani, i naturali no. L'allontanarsi dalle proprie radici - che invece i popoli naturali preservano tenacemente - porta spesso i nativi a fenomeni di emarginazione e a gravi difficoltà economiche. Invece i popoli naturali sono protesi verso il futuro e si presentano agli eventi con strumenti tecnologici spesso sorprendenti".
Ci sono popoli naturali anche in Europa?
"Certo, in Bretagna ad esempio, ma anche in Piemonte. Ma non si deve confondere questo fenomeno con quello delle sette, ai raduni celtici partecipa gente che, nel resto dei giorni, incontri normalmente per strada:giovani, bambini, anziani, il direttore della banca. Ma restano molto riservati, è la conseguenza di un atteggiamento persecutorio che la chiesa e le istituzioni hanno avuto per secoli".
Tutti i popoli naturali si assomigliano in qualcosa?
"Nonostante le diversità ad unirli è il rapporto con la natura in cui vedono un mistero, non hanno bisogno di sacerdoti come tramite ma trovano direttamente loro il contatto. Sono popolazioni che si possono conoscere solo evitando gli equivoci, noi siamo vissuti in un contesto cristiano dove tendiamo a sovrapporre il nostro mondo a quello degli altri. Così si tende a confondere il ruolo del druido con quello del sacerdote, o lo sciamano con un medico. L'unico paragone corretto - partendo dalla cultura occidentale - consiste nel considerare queste figure come degli alchimisti o degli scienziati. Personaggi che, dopo un lavoro di ricerca personale, sono in grado di regalare agli altri quello che stanno facendo per se. Non danno nessuna verità, non danno delle risposte e neppure sono un tramite per l'aldilà. Offrono semplicemente degli strumenti".
Come siete arrivati al riconoscimento da parte dell'Onu?
"Dal lavoro mio e di Giancarlo e dal contatto con i popoli naturali - ricorda Rosalba - conosciamo bene queste realtà, e per quattro di loro, abbiamo assunto il ruolo di portavoce. Le nostre esperienze sono anche alla base del libro 'I popoli naturali e l'ecospiritualità' che è stato pubblicato con l'incoraggiamento dell'Onu e una prefazione di Julian Burger, alto commissario per il diritti umani alle Nazioni Unite".
Veniamo alla vostra attività musicale. Possiamo considerare quella celtica come la musica delle origini?
"Certo, perché ha una componente ritmica e tribale che comunica immediatamente sensazioni forti, come la musica degli indiani d'America, dei popoli nativi africani e degli aborigeni australiani. Sono suoni che esprimono una forte sensazione di libertà e di energia. Viene facile notare come queste componenti siano rintracciabili nel rock, che di queste musiche è l'erede diretto. Ma i brani celtici possono anche essere dolci e intimisti, ideali per la meditazione".
Sul Graal si è detto e scritto di tutto. Ma per voi che cosa rappresenta?
"Occorre innanzitutto specificare che non è un simbolo cristiano perché il suo mito è antecedente. Ma in realtà il Graal è un valore immateriale, cioè una conoscenza astratta e non un oggetto. Si tratta di un simbolo: quello che non si vede, che è più vero di ciò che vediamo. La simbologia della tavola rotonda ha al centro un foro: i cavalieri sono seduti intorno e, nel mezzo, il Graal appare e scompare a seconda delle capacità di poterlo vedere".
In che modo il Graal si collega al Piemonte e alla mitica città di Rama?
"E' una storia dove le leggende si intrecciano a documenti storici. Ovidio, nelle Metamorfosi, cita l'avventura di Fetonte, figlio del Dio Sole, che salì sul carro del padre e precipitò per la sua imperizia. La tradizione druidica ci parla del medesimo carro, caduto dove la Dora si unisce al Po. Fa eco alla vicenda il mito del Graal: in questo caso uno smeraldo - che adornava il capo di Fetonte - sarebbe stato recuperato da una stirpe di semidei e modellato in forma di coppa. Il prezioso oggetto passò poi di mano in mano: da Adamo a Osiride fino a Re Artù. In seguito la sua ricerca ha coinvolto le organizzazioni iniziatiche più disparate, dai Templari ai gruppi esoterici. Secondo gli alchimisti medioevali la parola Graal era l'acronimo di 'Gnosis recepita ab antiqua luce',ossia 'conoscenza ricevuta da una antica luce'. Fin qui la leggenda, ma nella 'Historia dell'Augusta Città di Torino' di Emanuele Thesauro - opera del 1679 - si fa riferimento alla fondazione della città da parte degli egizi, e questo potrebbe rendere plausibili alcuni aspetti del mito. Ma c'è ancora dell'altro: le antiche cronache della Valle di Susa narrano di una megalopoli antichissima, con mura che si snodavano per ventisette chilometri, eretta sulle falde del Roc Maol, oggi Rocciamelone. Una città leggendaria, culla di una antichissima civiltà già tremila anni prima di Cristo. Scomparve probabilmente per un cataclisma naturale e potrebbe essere stata fondata dalla tribù scozzese dei Picti. Quella parola, 'Rama', è ancora presente nei nomi di persone, boschi e borgate. Ma la misteriosa città non si estendeva solo in superficie, aveva anche una profonda dimensione sotterranea: gallerie, miniere, chilometri di cunicoli. Lì sotto potrebbe essere stato a lungo custodito il Graal, sempre lì - secondo alcuni - si troverebbe ancora oggi. E alcune di quelle gallerie potrebbero essere collegate alle più profonde tra le cantine torinesi. Ma noi siamo convinti che chi insegue 'l'oggetto' sbaglia: la ricerca del Graal - o di 'Shan', che è il suo antico nome - è innanzitutto la ricerca dell'aspetto immateriale dell'esistenza".
Torino è ritenuta una città misteriosa ed esoterica. C'è una ragione per tutto questo?
"Penso che tutto sia nato dalla città di Rama, dalla sua filosofia e dal suo santuario - chiarisce Giancarlo - I ricordi e le tracce di quella civiltà non sono scomparsi, ma sono sopravvissuti sotto altre forme segnando il destino di Torino. La città ha qualcosa di straordinario che va conosciuto e compreso al di la delle banalizzazioni,ma bisogna tornare molto indietro nel tempo, riscoprendo e valorizzando le nostre radici celtiche".
Come potete sintetizzare il vostro percorso di ricerca?
"Ci definiamo degli antropologi dilettanti che possono scoprire, con la curiosità, gli uomini e le loro opere. La conoscenza dei popoli naturali e delle tradizioni celtiche ci ha aiutato a comprendere una prospettiva migliore di quella occidentale, che è più effimera e legata quasi esclusivamente ai valori commerciali dominanti".

Torino Magazine, marzo-aprile 2007